Sally è un po’ triste. Sally sa che va bene essere un po’ tristi in alcuni momenti della vita e che le emozioni, belle o brutte che siano, ne fanno parte.
Sally è un po’ stanca e si chiede se sta sbagliando qualcosa e cosa dovrebbe fare per cambiare il suo presente e acquistare serenità.
Lettore, voglio portarti con me, lasciati guidare nel racconto semplice della mia realtà. Credo ancora nel racconto e nel dialogo sincero tra me e te. Vorrei aiutarti con la mia esperienza ad evitare di soffrire, ma ciò non sarà possibile: piuttosto mi propongo di instaurare una salda collaborazione tra le nostre controparti. Stringiamoci in un abbraccio collettivo che sappia di umanità e ascolto.
Ore 13 del 1 gennaio 2021. La sto stringendo, A. Non parliamo. Mi protraggo verso il suo sorriso e le do cinque baci sull’angolo della bocca.
“Mi piacciono gli angoli di bocca”, le sussurro.
“Ah sì? E perché?”
“Non lo so, da sempre”, rispondo. E mento: mi piacciono gli angoli di bocca dal 2015, da quando i Negramaro sono usciti con la canzone “Attenta” che ad un certo punto fa:
“Attenta” era la canzone preferita di G., una ragazza che avevo conosciuto su una chat e per cui ero andata in Sicilia. è da allora che amo gli angoli di bocca. Non potevo spiegarglielo, non volevo. Mi piaceva guardarla negli occhi, farle sbocciare un sorriso e poi baciarla, dolcemente. Erano baci bellissimi, lei mi ricambiava con altrettanti. Avevo conosciuto A. su una chat, un mese prima. Le solite chat… eravamo tutti in zona rossa, qui. Non facevo altro che lavorare e studiare e la sera scambiavo quattro chiacchiere con sconosciute o swipavo su Tinder, senza alcun intento se non distrarmi. Non ero pronta a conoscere qualcuna sul serio, era un momento troppo particolare e io non avevo tempo. A. ha iniziato subito a farmi tante domande e a dimostrare un forte interesse nei miei confronti. C’era un interesse fisico, entrambe avevamo desiderio di interrompere – fosse anche per qualche ora – il distanziamento sociale. Abbiamo iniziato a parlare e a scoprire che potevamo parlare e scriverci per moltissimo tempo, senza mai una interruzione o che subentrasse la noia, parlando anche del nulla. Quando ci siamo viste la prima volta abbiamo fatto colazione in macchina, lei davanti io sul sedile anteriore per rispettare il distanziamento. Ricordo perfettamente di aver preparato il caffè dalla moka in casa e averlo portato giù con il thermos, insieme a due cucchiaini nella pellicola e una porzione di zucchero che io avevo rovesciato ad hoc in un bicchiere. Poi due tazzine. Lei invece tre brioche calde dal panettiere, insieme alle sue occhiaie.
Ne ho un ricordo bellissimo. Dopo poco siamo salite in casa mia e abbiamo passato tutta la giornata insieme. Nessuna imperfezione. Mentre, alle cinque, si abbottonava la camicia le ho scattato sei foto, che gelosamente conservo. “Questa è la tua vera te”, le dissi, “una ragazza semplice, sorridente, buona. Sono felice di aver passato questo tempo insieme”. Forse avrei dovuto interrompere tutto in quell’istante di felicità pura, conservarmene l’illusione prima di comprenderne i contorni reali e capire che mi ero sbagliata. Ma non so come fermare la felicità, io, accontentarmi del suo culmine. Ho il dolore di credere, quando sono felice, che le persone entrino nella mia vita per restare. Lasciar nascere e crescere un sentimento, perché semplicemente dall’altra parte c’è il mio mondo incantato. Perché ci sono io, e Dio sa, solo, quanto vorrei.
Ho voluto bene così tanto. All’inizio avevo paura ma poi no, ho lasciato che accadesse. Amavo me che aprivo il mio mondo a lei, amavo i nostri corpi che si comunicavano passione, amavo condividere e veder crescere. Cos’è una frequentazione se non questo semplice condividere?
Ore 18 del 1 gennaio 2021. Lei è già uscita di casa, è andata a trovare degli amici reduci dai festeggiamenti di Capodanno. Io sto poco bene, ma non le scrivo. La mia mente corre agli istanti paralleli che le capitavano allora. Una ragazza della compagnia degli amici decide di tornare a casa. “Torno anch’io”, dice anche A.. Da questo punto in poi non posso che lavorare di fantasia. Ma questo è un racconto per cui va bene, no? A. mi aveva confidato qualche settimana prima che che aveva destato l’interesse di questa ragazza e che, nonostante il nostro rapporto, aveva intenzione di conoscerla. Solo conoscerla. diceva. Però quella stessa sera, con la pelle ancora calda dai nostri abbracci, è uscita con lei. Un buco di due ore nell’arco del tempo che non perdona. Non posso che lavorare di fantasia. E se, mentre io ero a casa sola piegata dai dolori alla pancia, lei avesse sperimentato gli angoli di bocca con lei?
Non voglio saperlo con certezza, forse non lo saprò mai, ma una parte di me già sa.
Io, da quel giorno, non l’ho più risentita.