Il dolore mi è passato attraverso ma io sono qui, viva.

Stasera, per la prima volta dopo un po’ di tempo che lavoravo e basta, sono riuscita a guardare dentro me stessa. Ci ho trovato ancora delle emozioni, il passato che bussa alla porta del retrocervello. La mia ferita abbandonica ancora lì. Spesso mi chiedo da dove arrivi, quali eventi l’abbiano determinata così recisa e profonda: ho una madre anaffettiva, con una personalità in ostaggio, disintegrata, svuotata, un padre fin troppo ingombrante, castellano che mi teneva nella sua prigione di cristallo. Questa è stata la mia infanzia, segnata dalla timidezza e da un senso di inferiorità e inadeguatezza rispetto agli altri. Sono venuta su grezza, e mi ha svezzata il confronto duro, doloroso, con la cattiveria. Mi fa paura persino non trovare le parole per descriverlo. Tuttavia, se anche disfunzionale, la mia famiglia non è stata un coacervo di mostruosità e, dopotutto, agli occhi altrui appariva come “la buona famiglia”. I miei genitori mi hanno mandata a scuola, ho preso voti buoni, a volte ottimi a volte discreti e mi sono diplomata al classico, una scuola per la “gente bene”. Ma io mi sentivo sempre diversa, voglio dire. Sono lesbica? – mi chiedevo. Quanto abbia inciso nella percezione di me stessa non potrei dirlo, ma moltissimo se considero che nel mio nido domestico è sempre stato un aspetto nascosto, e celatamente osteggiato. Giusto l’altro mese una donna con cui mi sentivo mi ha chiesto come mai io non abbia tuttora rivelato ai miei genitori la mia omosessualità. Non sapevo che dirle. Mi vergogno di non averlo ancora fatto, ma nessun momento è quello giusto.

Ebbene stasera ho iniziato a riascoltare una canzone di Levante “Questa è l’ultima volta che ti dimentico” e ho risentito di colpo l’emozione bella di quando uscivo con Eugenia. Subito dopo, il grande vuoto, il salto. Io ora mi ritrovo quasi senza accorgermene ad annoiarmi: esco con amici di un tempo e mi annoio, parlano parlano parlano sì, ma di che parlano? Le conversazioni vivide, piene d’arte, di musica e stimolo se ne sono andate da un pezzo. Ho ancora degli amici che riescono a farmi sentire viva, a stimolarmi, in qualche modo. Ma è sempre una percentuale minore rispetto alla pienezza che ho vissuto e di cui ricordo ogni sfaccettatura. Non mento quando dico che con lei era uno stimolo continuo: i nostri cervelli si alimentavano in una sintonia a dir poco perfetta. Di questa perdita il mio cuore ne ha sofferto parecchio. Ho pianto, no non mi vergogno di dirlo che ho pianto ancora. Fra due giorni partirò e, forse, allontanandomi da questa casa, dalla casa in cui ho incontrato così fortemente il dolore della separazione, rinascerò. In quei giorni terribili l’abbandono aveva spazzato via tutto: tutto. Come posso descrivervelo? è come se, all’improvviso, vi dicessero che il giorno è la notte e la notte il giorno, e perdeste ogni punto cardinale. Così ad un certo punto dovetti dire a me stessa: “Eugenia non ti ama più”. Non l’ho accettato che quasi dopo sei mesi. Com’è possibile che una persona che ti amava non ti ami più? Come?

“Non sono abituata ad avere a che fare con persone infelici” – mi disse Cecilia. Ma io sono ancora viva, le risponderei ora. Se perdi l’amore, se ancora ami, felice o infelice diciamo che poco conta: sono viva. Il dolore mi è passato attraverso, ma io sono qui, viva.

Non mi parlare di come fili

Non mi parlare di come fili
disegnano linee
orizzontali nel cielo
separazioni
non arte né trame per scrutare.

Gli incontri anche casuali hanno un senso
ma il cielo non dovrebbe avere divisioni

la vita è come un cielo l’anima è una
tuttavia tanti gli addii
e io
non so più in quanti addii mi sono persa
e frammentata e
dove
dove!
Questi spazi queste attese raccogliere

se anche gli spazi vuoti hanno senso:
sarò di spazi vuoti il senso.