Essere scrittori è un modo di relazionarsi con il mondo

In questo momento nella mia testa si sta svolgendo un dramma shakespeariano.

Una tragedia, uno sdilinquirsi di pensieri in lotta tra loro per la sopravvivenza. Giocano a chi è il più bravo a resistere. La loro cifra stilistica è la contraddizione. E l’arroganza.

Sono triste ma non so perché. Ho pensato: tu sei una scrittrice. Ho passato più tempo a lottare contro questo nome che ad accettarne la presenza. Io sono una scrittrice nel senso meno letterale del termine. All’atto pratico scrivo pochissimo. “Io sono una scrittrice” è il modo con cui definisco la mia relazione con il mondo. Per me esso è un libro da leggere, e ogni persona un romanzo. Stando così le cose, ogni scrittore è un alienato. Lo scrittore ha a che fare con odori, gusti, sapori, sudore, silenzi ma pretende di ridurre tutto in parole e ha principalmente interesse verso tre atti: l’atto della comunicazione, dell’interpretazione e l’atto della trasformazione. Tutti e tre gli atti sono collegati e corrispondono alla fasi di lettura, scrittura e interpretazione critica (non in quest’ordine però).

Sono una scrittrice ma non me ne vanto. Gli altri scrittori li osservo con un atteggiamento tra lo sconcerto, l’ammirazione e il distacco. Non vorrei essere un’alienata come loro. Vorrei possederne il genio, non la maledizione. Essere il genio immaledetto. Scrivere restando una donna di mondo, senza la sensibilità al dolore e all’amore. Possiedo, invece, la maledizione della scrittrice, senza i suoi eccessi e soprattutto senza alcun talento. Mi rendo conto di combattere contro me stessa in quanto scrittrice perché è l’unico modo che ho di non scrivere e accorgermi, di conseguenza, di non essere all’altezza del compito.

Scrivendo sto male, ma senza scrivere sto peggio. E’ come avere la vocazione al canto, ma senza il talento dell’intonazione.

La mia maledizione è questo turbinio incessante di emozioni, mai quiete. La necessità di esprimerle e riversarle nella vita reale mi oltrepassa. Oltrepassa anche le persone e annienta ogni mia possibilità di entrare in contatto con le altre donne in modo equilibrato. Come un’alluvione vorrei invadere la terra di lacrime e senza per questo sentirmi dire di essere una persona dallo stampo “leopardiano”.

Ad oggi, questa pioggia irrora solo le mie guance e inonda un cuore già zuppo.

Scrivendo sto male, ma senza scrivere sto peggio. E’ come avere la vocazione al canto, ma senza il talento dell’intonazione.

S.S.

Lo scrittore al tempo dell’amore al tempo del Covid-19

15 aprile 2020, chiusa in casa 

Serve l’amore

Per scrivere miliardi di poesie

Piene di rose e di tutte quelle altre smancerie

(Nobraino, Lo scrittore)

Quando l’amore se ne va, cosa succede a chi resta con l’amore nudo? Cosa sente? E soprattutto, a cosa serve?

Osservo la linea piatta del lago fuori dalla mia finestra. Oggi è sceso un vento calmo e pesante, che soffia via ogni increspatura. Persino i fiori temono di sbocciare in questa tardiva primavera. Una settimana fa il sole sembrava annunciare temperature più calde. Meglio così, per noi che non possiamo uscire di casa.

Aprile si conferma il più crudele dei mesi, come scriveva T. S. Eliot. Ancor più crudele, per me, perché mi toglie la possibilità di nuove esperienze senza essere mai scesa a patti con le vecchie. Quando mi sveglio al mattino e mi chiedo se saprò godere di ogni giorno, la risposta è che le emozioni sono ancora tutte a disposizione, ma nel passato: dolce e amaro è il loro sapore e dischiuso a testa in giù è il bocciolo appassito. Stringo una mano al petto per soffocarne gli afflati mortali. Urgono da dentro, ma non trovano via d’uscita. Non piangerò. Dormono sulle palpebre, in sacchi a pelo fatti di canzoni.

E. mi suggerì l’ascolto dello Scrittore dei Nobraino.  “Serve l’amore/ per scrivere”, cantano. Forse servono i Nobraino per saper amare.

Voglio stare qui a crearti

a disegnarti ad affogarti

nell’inchiostro delle rime e dei cliché

Una canzone può chiedere e porti le sue domande.

Dopo l’amore scriverai?  Durante l’amore, ho scritto, ho detto. Ho scritto: scritture quasi ispirate da un dio. Ho detto: erano, la maggior parte, parole sospirate tra cuscini, la sera, abbracciandola.  Ho amato, complici i Nobraino. 

Non è rimasto davvero più nulla? Se possibile, io amo per mille. Amo la vita che mi ha dato così tanto, amo la vita che ora mi toglie così tanto.

Può mai un’amore bello essere macchiato di falsità e ipocrisie? Se le meritavo io, non le meritava l’amore, che come al solito si prende tutte le botte.

Saprai riamare così immensamente? Non a breve. La cassa dell’amore non muore, ma può uccidere.

Osservo la linea piatta del lago fuori dalla mia finestra. Oggi è sceso un vento calmo e pesante, che soffia via ogni increspatura. Persino i fiori temono di sbocciare in questa tardiva primavera. Una settimana fa il sole sembrava annunciare temperature più calde.