Terzo giorno: notte tremenda con attacchi di ansia. Vicina a nuove ripartenze.

Non é ancora, e forse non lo sarà mai, il diario del mio viaggio in solitaria. Sono andata a trovare un’amica che sta a Chianciano Terme e ne ho approfittato per fare un giro dei paesini sui colli d’intorno.

La prima sera abbiamo bevuto una bottiglia quasi intera di un Brunello di Montalcino e cantato. Avevo bisogno di perdere il senno. Avevo desiderio di fare breccia nella mia rigidità interiore. Il secondo giorno, ieri, abbiamo girato in lungo e in largo Montepulciano e Pienza. Ho comprato un paio di scarpe che desideravo di tempo e mangiato i Pici alla briciola. Ma avevo già le prime avvisaglie di un malessere che emergeva da dentro, mio malgrado.

Ricordo con estrema dolcezza la vista dei colli toscani da un terrazza panoramica e ho sentito vicino a me tutti i grandi poeti di questa terra. Il suono del vento tra le orecchie mi ha addolcito il cuore. Eppure quali tenebre selvagge tengono in ostaggio questo cuore sofferente e impaurito.

Il mio scorpione in Marte, a detta di Nadia, in questo periodo potrebbe essersi indebolito. E io lo sento afflosciarsi con il caldo, perdere di potenza atterrito da settembre e dal contratto in scadenza e dalla forte solitudine. Ho paure tremende. La notte mi ha presa d’assalto, cogliendomi alla sprovvista. Ho immaginato me presa delle febbri del Covid, me soffocare e sentivo l’aria tra i polmoni divenire sempre più esiziale, il piede d’un porco di diavolo schiacciarmi il costato, la gola. Mi sono sentita morire, soffocare, venire meno.

Che mi succede? Dopo poco mi sono ritrovata a viaggiare su Google cercando “sintomi dell’agorafobia” e “sindrome della capanna”. Mi sono stretta il cuscino, come se fossero le braccia di Eugenia. Ho tentato con tutte le mie forze di stare bene. Fuggire. Non sento che altro imperativo. Cambiare ancora, come un animale ferito che fugga da se stesso. Tornare all’ovile, tornare bambina tra le braccia di mia madre e mio padre, protetta. Stamattina pianto. E domani lo zaino ancora sulla spalla, alla volta di una solitudine ancora più estrema perché arrendermi non voglio. Ho un buco nel cuore e andró fino in fondo cercando l’amore che ho perso.

Pienza

Sei regole per superare il pensiero ansioso.

3 aprile, ancora in quarantena

La vita mi assale alla gola come una lama. Di notte, di giorno, ogni ora… a ogni respiro. Sarà per questo che sono offuscata, obnubilata, frastornata e da un mese e più non trovo sollievo. Per questo mi sento stringere la gola, il nodo in gola si è fatto letterale, laterale, maniacale, asfissia morale, e se non è la gola allora è il cuore, che batte a una velocità pazzesca. HO IL FIATONE QUASI SENZA FAR NULLA.

Se mi chiedessero cos’è uno stato d’ansia, glielo descriverei così. In quarantena l’ansia peggiora in chi già ne soffre da sé. L’ansia deriva da un senso di ingabbiamento. Normalmente questo ingabbiamento è dentro di noi, conseguenza dei nostri pensieri: possiamo sentirci ingabbiati in un lavoro, in un percorso di studi, nell’idea stessa di dover essere perfetti a tutti i costi. Con l’isolamento forzato l’ansia si esteriorizza, assume i contorni di una gabbia per davvero e la solitudine si salda con il pensiero ossessivo.

L’ansia è anticipazione. Non è raro che gli ansiosi siano anche persone notevolmente creative e intelligenti, con uno spirito d’immaginazione fuori dal comune. Quando questa immaginazione diventa pensiero ossessivo rivolto verso il futuro, allora ecco che può nascere lo stato ansioso. Ma l’ansia non è solo anticipazione: è anche, come dicevo, perfezionismo e pessimismo. L’ansioso ha paura dell’imperfezione e, al tempo stesso, non può sottrarvisi. Un senso di pericolo costante lo blocca e lo raggela, raramente riesce a godere del presente. Quando vi riesce, tocca gradi di felicità che ricorderà nel tempo e a cui ripenserà con nostalgia.

Io soffro di attacchi d’ansia per lunghi periodi. In quarantena l’ansia è un tema taciuto, ma onnipresente. Le notizie mettono ansia, la paura di essere contagiati o contagiare mette ansia. I più ansiosi sono i giovani, già spezzati da anni di precariato e disabituati all’idea di una stabilità. Siamo fragili, nessuno ci ha mai insegnato a prenderci cura di noi stessi. Abbiamo sempre dovuto portarci avanti, anticipare le nostre stesse mosse per non rimanere schiacciati dalla ruota del mercato.

Ho steso una sorta di decalogo (anche se le regole non sono 10 ma 6) per scacciare il pensiero ansioso. Non è farina del mio sacco ma il frutto di un laborioso dialogo con l’amica M. C., eccolo qui a tuo uso e consumo:

  1. Non sei la tua ansia. L’ansia è un accidente che ti sta capitando in questo momento della tua vita per determinate ragioni.
  2. Vivi la tua emozione ansiosa. Più combatti l’ansia di petto, più ti ritornerà indietro con forza – come un’onda del mare quando la aspetti a riva. Piuttosto dai ascolto alla tua emozione e chiediti perché la stai provando. L’onda non ti fa niente se provi a surfarla.
  3. Lasciati andare e non negarti tutto perché rifletti sulle conseguenze delle tue azioni. Immedesimarsi troppo nell’altro è sbagliato. Prova a fare le cose per te, soprattutto se ti può servire a stare meglio.
  4. Non hai il controllo su tutto. Questa regola è un corollario della regola 2. Non puoi pensare di poter controllare le tue preoccupazioni, né tanto meno il tuo futuro. Quindi no, in un certo senso non puoi controllare la tua ansia. Questo però non significa che lei deve controllare te. Accetta l’indefinito e ascoltalo.
  5. Impara a saper perdere, impara a saper sbagliare. Non saper accettare l’errore è il modo più semplice per rimanere esattamente dove sei. Al contrario, prendere consapevolezza della tua fallibilità è la via per la libertà e la felicità.
  6. Smettila di pensare che gli altri stanno meglio di te, non invidiarli. Pensa piuttosto che ognuno sta vivendo una sua battaglia di cui tu, probabilmente, non sai nulla. Questo pensiero ti insegnerà che se parli agli altri di quello che provi, puoi trovare persone capaci di capire il tuo stato d’animo e di sostenerti. Perché l’ansia, in un modo o nell’altro, è un’esperienza ci ha toccato tutti.

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