Cultura senza prospettiva. Riflessione su giovani e lavoro

“Cosa desidera, signore?”
“Un po’ di prospettiva. O ne siete sprovvisti?”

È il dialogo tra un cameriere e il critico culinario Anton Ego del film di animazione “Ratatouille”, forse la scena clou e più importante dell’intero film. Ecco, è forse questa “prospettiva” che noi giovani pensatori rampanti sentiamo mancarci sotto i piedi?

Ci insegnano fin dall’elementari la geografia, la storia, la letteratura italiana, la matematica e le scienze. Ci infarciscono di cultura teorica come le sacher con la marmellata. Di questo calcio sono fatte le nostre ossa: di Dante, di complemento predicativo del soggetto e fotosintesi clorofilliana. I più diligenti di noi studiano e approfondiscono anche oltre i banchi di scuola. Si ampliano le passioni ad altri ambiti artistici: chi coltiva la fotografia, chi la scrittura, chi la musica. C’è perfino chi ama studiare a tal punto da decidere di proseguire gli studi oltre la scuola dell’obbligo: è difficile ma ha un suo prestigio. E poi arriva un certo punto in cui la società, che fino ad allora ti aveva spinto ad eccellere negli studi e a coltivare le tue passioni, ti dice “hey, queste cose non mi servono”. Dante è solo un orpello per l’HR, il “demonietto” che si nasconde dietro la scrivania durante il colloquio di lavoro e che annota ogni tua virgola. Lo vedi: ti sta già vagliando dall’alto della sua posizione. Il tuo diploma, di liceo classico o scientifico che sia, la tua laurea, triennale o magistrale, il tuo dottorato, di colpo, si azzerano. Si azzerano i libri studiati, le fotografie scattate a paesaggi stranieri. Anzi, quei titoli non sono che il prezzo che hai pagato per essere lì, alla sua soglia: i fantocci che hai bruciato per ingraziarti quella divinità capricciosa e maligna. E lì capisci che a lui (o lei) non interessi te, la tua forma mentis, la tua capacità di apprendere, la tua cultura: sei un oggetto del mercato ora, una pedina che deve conoscere già le mosse sulla scacchiera e le competenze tecniche e pratiche per vincere.

Ma il problema qual è, il problema chi è in questo difficile gioco di sopravvivenza? Il problema è la scuola o il lavoro? Oppure il problema siamo noi?