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Ci vuole tempo, ci vuole coraggio per ammettere di essere infelici. Sei infelice? Io non ho la tua risposta. Cazzo, (senti come suona…sbagliato questo “cazzo”?) la vita ruota intorno a una questione essenziale: felicità e infelicità. Da adolescente pensavo che o eri felice o il suo contrario. Poi sono subentrate le varianti. Variante di assaporare l’infelicità tanto da avvertire che, in fondo, non lo era poi così tanto.

Provate a colorare un foglio di nero, lasciando in un angolo, intonsa, una piccola zona bianca. Immaginate che il nero sia la paviditá della routine che vi avvolge: e ora pensate di scoprire nel piccolo esergo di un romanzo un angolo di autenticità. Ogni sera vi fate trascinare in un romanzo d’avventura o osate scriverlo. Kafka era un burocrate, e ha scritto capolavori. Leopardi era uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, ma infelice sopra tutti loro, perché la sua sottigliezza nel suo sentire oltrepassava ogni illusione, ogni orpello che la coscienza ci pone davanti per tenerci lontani dalla disperazione di essere qui, dunque destinati al non esserci.

E d’altro canto mi chiedo se alcuno sia stato mai, felice. Col senno del poi mi accorgo che, quando mi credevo felice, ero ingannata dalle mie stesse illusioni. Che se solo avessero superato la misura del plausibile sarei stata un’altra. Più infelice ma non sciocca.

Alla salute!

Un pensiero felice

1 aprile in quarantena (non è un pesce d’aprile, purtroppo)

Buongiorno a te che mi leggi.

Stamattina ho fatto un pensiero felice, è durato due secondi ma almeno era felice. Ho pensato che forse dall’altra parte dello schermo qualcuno mi legge e che se io scrivo qualcosa tutti i giorni posso far sentire la persona al di là meno sola. E al tempo stesso ho sorriso dentro di me, immaginandomi questa sorta di corrispondenza appesa nell’aria e nella mia immaginazione.

Voglio dirti una cosa: se c’è un periodo in cui è tutto buio, probabilmente per la maggior parte di noi, è questo. E non devi vergognartene. Passiamo la vita a raccontarcela e a raccontarla, ma non ci fermiamo mai a riflettere sulla nostra felicità. Siamo felici? Cosa ci renderebbe felici? Ciò in cui investiamo tempo e fatica ci regala, alla fine, la felicità? Per combattere il buio serve la luce, anche una piccola. Forse non è cosa facile trovarla, ma dobbiamo farci cercatori di luce. Ora che sono chiusa in casa mi chiedo: i soldi da soli servono a qualcosa? Certo che no. I soldi sono un mezzo, ma un mezzo fragile. Fanno parte di un sistema, servono a ottenere qualcosa ma noi dobbiamo avere ben presente – ancora prima che nell’atto dello spendere – il perché noi abbiamo bisogno di quei soldi, perché li vogliamo spendere, cosa otteniamo nel farlo. Ho voglia di un caffè, ma perché ne ho voglia? Perché mi piace uscire di casa, il gesto di chiedere un caffè al barista, magari farci quattro chiacchiere. E poi, vuoi mettere poter bere o mangiare qualcosa preparato e cucinato da mani esperte altrui? Del caffè al bar è bello anche ascoltare i suoni intorno, il signore sui cinquanta che parla con il vicino di tavolo del Governo (male, di solito), la signora con il cane che chiede se lì hanno anche il “Gratta e vinci”, il rumore della città, viva, gigantesca, caotica. Ecco, quello che intendo è che tu non stai spendendo 1 euro, 1 euro e 10 soltanto per quel caffè, ma per tutta l’esperienza che quel caffè ti regala.

Te ne stai accorgendo ora a casa? Tutte le esperienze che ti vengono a mancare si sommano, giorno dopo giorno, in una sottrazione pericolosa della tua felicità. Allora, ecco che torna prepotente il bisogno, in me, in te, in noi di contrastare il buio con la luce.

Qual è la tua luce? Cosa ti illumina gli occhi? C’è qualcosa che ora puoi fare per contrastare il buio? Una fiammella interiore da accendere nei metri quadri della tua stanza?